sabato 9 luglio 2016

Bruce Springsteen at San Siro: "Dreams are alive tonite”

Bruce Springsteen at San Siro _ The River Tour 2016


Articolo già pubblicato il 4 luglio 2016 su "Farecultura.net". 



Milano, domenica 3 luglio: "Dreams are alive tonite”. Questa la scritta creata dalla coreografia dei 60mila fan di San Siro per accogliere Bruce Springsteen domenica 3 luglio per la prima delle due date milanesi del “The River Tour”. Il Boss ha letteralmente trascinato lo stadio verso una festa lunga quasi quattro ore, eseguendo con la sua band una vasta scaletta di oltre 30 pezzi storici.


Battendo il caldo e con alle spalle quasi 67 primavere, il “ragazzo” del New Jersey ha regalato ai presenti uno show memorabile, in cui si sono alternati momenti di puro divertimento a canzoni più impegnate e soul. Il tour, organizzato per celebrare i successi targati Springsteen ed E Street Band e soprattutto il celeberrimo doppio album “The River” del 1981, era nato alla fine dello scorso anno prima come progetto riguardante solo gli Stati Uniti, per essere poi esteso anche al Vecchio Continente.

Durante lo show, aperto con "Land of Hope and Dreams" e "The Ties that Bind”, sono stati eseguiti i più grandi successi del Boss, attingendo soprattutto dagli LP “The River” e “Born in the U.S.A.”.

La poetica di Springsteen è sempre rimasta la stessa nel corso dei decenni: raccontare storie di gente comune per far emergere l’eroismo nascosto del vivere la vita di tutti i giorni. Spesso i protagonisti delle sue canzoni sono dei “perdenti” che però sanno superare le difficoltà con dignità per non sprofondare nel baratro della solitudine.


Acuto osservatore della società americana, con la sua musica il Boss ha sempre cercato di criticare l’illusorio sogno americano parlando delle condizioni reali di vita e lavorative della gente comune. Emblema di tutto ciò è l’inno “Born in the U.S.A.” che lungi da essere una celebrazione nazionalista racconta invece la tragica vicenda di un reduce del Vietnam, una critica diretta all’establishment del suo Paese per quell’intervento bellico dalle drammatiche e durevoli conseguenze umane.

L’esecuzione da pelle d’oca di “The River” rimane forse il momento più toccante della serata, con lo stadio illuminato dalle luci di migliaia di telefonini. Non meno suggestive anche le canzoni “Hungry Heart”, sulle cui note il Boss ha fatto un grande bagno di folla scendendo giù dal palco, e una prolungata “Dancing in the Dark” che ha permesso ad alcuni fortunati fan di unirsi alla band.


Ed è questo uno dei maggiori talenti di Springsteen: rompere la barriera tra la band e il pubblico per creare uno spirito fraterno di festa e gioia grazie alla musica rock. 


Non servono effetti speciali, laser e scenografie fantascientifiche per trasmettere emozioni a tre generazioni di fan; basta sudare e cantare sotto le stelle a cuore aperto fino allo sfinimento, come avvenuto in chiusura con una lunghissima performance di “Shout” portata avanti fino allo stremo delle forze.

Grintoso, carismatico e dalla tenuta fisica da maratoneta, il Boss si è sempre contraddistinto per essere uno dei performer più stacanovisti di tutti i tempi. Non è stato da meno neanche questa volta, quando, passata la mezzanotte e simulando la conclusione del concerto, è tornato da solo sul palco per regalare una versione acustica di “Thunder Road”. Una scelta molto coraggiosa dopo un lunghissimo live.  

Quattro ore di emozioni senza soluzione di continuità, in cui Springsteen e i suoi musicisti hanno donato anima e corpo al pubblico senza mai concedersi una pausa.


Lo storico soprannome di “The Boss” calza a pennello: è Springsteen a dettare la scaletta e i tempi, a cantare fino allo sfinimento senza guardare l’orologio, a suonare chitarra e armonica, a ballare e incoraggiare la band, a scherzare e divertirsi con il pubblico per celebrare la vita con la musica.

Tutte qualità della rockstar-tipo, che fanno tornare in mente le parole di Jon Landau, vero scopritore del talento di Springsteen e suo manager storico, quando a inizio carriera scrisse sulle pagine della rivista “Rolling Stone”:


“Stasera ho visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Bruce Springsteen”.

venerdì 1 luglio 2016

Anomalisa: un film d'animazione anomalo


Già pubblicato il 20 giugno 2016 su "Farecultura.net"


Sinossi: Michael Stone, un uomo di mezza età depresso e alle prese con una grave malattia pschiatrica, marito e padre oltre che esperto di customer care e noto autore di best-seller sul tema, si trova a Cincinnati negli Stati Uniti per una conferenza. Solo e triste nell’hotel Frigoli della città, il protagonista prova a ricontattare la donna con cui undici anni aveva avuto una relazione, da lui bruscamente e inspiegabilmente interrotta. La serata sembra svolgere al peggio finché Stone non incontra una donna chiamata Lisa e qualcosa cambia improvvisamente dento di lui. L’attrazione reciproca potrebbe cambiare il corso delle loro vite.



Vincitore del Gran Premio della giuria all’ultimo festival di Venezia e candidato all’Oscar per miglior film d’animazione, “Anomalisa” è un film spiazzante e originale, che sicuramente non lascia indifferenti gli spettatori.

Diretto dal duo Duke Johnson e Charlie Kaufman, premio Oscar per la sceneggiatura di “Se mi lasci ti cancello” e regista di “Synecdoche, New York”, “Anomalisa” è interamente girato con la tecnica della stop-motion e i protagonisti sono tutti dei pupazzi.


Nonostante la banalità della trama, l’opera è significativa non solo per la ricchezza di emozioni espresse dai due personaggi principali ma anche e soprattutto per la capacità del protagonista di creare empatia con gli spettatori pur non essendo umano.

L’idea originale risiede nel fatto di ricreare uno stato d’animo di profondo malessere esistenziale ai limiti di una malattia psichiatrica nota come sindrome di Fregoli (nome dell’albergo) dando la stessa voce e il medesimo volto a tutti i personaggi. Fa eccezione proprio Lisa, che ha una voce e un volto differenti dalla “massa”, da cui il protagonista viene attratto per la sua “anomalia”, simboleggiata da una piccola cicatrice sul viso. Da qui la scelta del titolo, unione delle parole “anomalia” e “Lisa”.  

Un film d’animazione per adulti contenente una lunga scena di sesso tanto goffa quanto realistica e tenera, difficilmente realizzabile meglio con attori in carne e ossa.

Il lungometraggio, che ha raccolto numerose recensioni positive da parte dei critici (qualcuno ha parlato addirittura di capolavoro), mescola ingredienti diversi – il surrealismo, l’horror, l’onirismo - per parlare di temi esistenziali complessi come il rapporto tra i sessi e la sensazione di alienazione dell’uomo-massa contemporaneo chiuso nella gabbia della routine quotidiana come un automa amorfo e apatico.

Prodotto anche grazie al “crowdfunding” (sono stati raccolti online 406mila dollari), quindi fuori dal circuito convenzionale delle major, l’opera presenta dialoghi profondi e alcune scene memorabili perché capaci di emozionare veramente, come quando Lisa offre una toccante versione canora di “Girls Just Wanto to Have Fun”.

In conclusione, un’opera ambiziosa, originale, un po’ deludente nel finale sbrigativo, capace però di suscitare forti emozioni. O che lo si ami o che lo si odi, “Anomalisa è un film inclassificabile, strano e destabilizzante di cui, una volta entrati, si resta prigionieri” come ha ben descritto il critico cinematografico Roberto Nepoti su “la Repubblica”.


VOTO: