lunedì 30 gennaio 2012

I quattrocento colpi

Trama


Antoine Doinel (Jean-Pierre Léaud) è un ragazzino parigino di 12 anni che vive l’adolescenza senza la comprensione dei propri genitori (la madre è fredda, mentre il padre è tale solo dal punto di vista legale). A scuola va male, viene punito continuamente e a casa si sente incompreso e poco amato. La situazione peggiora quando scopre che la madre ha una relazione con un altro uomo. Antoine, sempre più solo, può contare solo sull’amicizia col coetaneo Renè, con cui ruba una macchina da scrivere. Dopo il furto i genitori di Antoine decidono di mandarlo in riformatorio, da cui però riuscirà a scappare.




Il primo lungometraggio di François Truffaut – forse anche il più autobiografico – segna l’affermazione della nuova corrente francese chiamata Nouvelle Vague. Siamo alla fine degli anni Cinquanta e un gruppo di giovani cinefili e critici legati ai Cahiers du cinéma propone un cinema personale, fortemente autobiografico, in contrasto con le convenzioni dell’industria e le tecniche classiche del montaggio hollywoodiano. Convinti che il regista debba esprimere una propria visione del mondo – “la politica degli autori” – sia nello stile che nella sceneggiatura, questi giovani cineasti parigini si fanno interpreti di una cultura quasi apolitica del divertimento e del consumo, tentando di catturare la realtà della vita senza artifici.

L’opera d’esordio di Truffaut, uno dei maggiori alfieri della Nouvelle Vague, si afferma a Cannes vincendo il premio per la miglior regia e fa emergere la nuova “onda” a livello mondiale. I quattrocento colpi è una pietra miliare della cinematografia internazionale, che deve molto al neorealismo. La triste storia del protagonista Antoine – in pratica l’alter ego del regista – è raccontata senza pietismi, in modo crudo ed estremamente realistico. È un ragazzo difficile, ribelle, che si scontra con tutte le istituzioni con cui viene a contatto: la famiglia, la scuola, la polizia e il riformatorio. Vengono così magnificamente esposti alcuni concetti marcusiani – come sistema, esclusione, repressione e società totalitaria – che  entreranno a far parte della cultura del Sessantotto, quando i giovani cercheranno di opporsi al potere in ogni sua forma.

Dal punto di vista tecnico-stilistico I quattrocento colpi presenta due celeberrime sequenze che diventeranno dei veri e propri modelli da seguire e citare da molti cineasti successivi: quella relativa al colloquio tra il protagonista e la psicologa del riformatorio e il sorprendente finale. Nella prima sequenza Truffaut sperimenta la tecnica della “trasgressione del campo/contro campo”. Antoine, seduto dietro un tavolo, mentre risponde alle domande della psicologa viene inquadrato frontalmente in mezzo primo piano. Le risposte si susseguono in una serie di dissolvenze incrociate legate alla voce fuori campo della psicologa, la cui inquadratura viene negata allo spettatore. Questa tecnica, che sovverte le consuetudini della “situazione dialogo” legata all’alternanza di campo e controcampo, è finalizzata a rafforzare il rapporto identificativo e affettivo tra lo spettatore e l’adolescente durante la sua confessione, permettendo di descrivere attraverso le immagini il suo smarrimento.

Infine, la lunga e sublime sequenza conclusiva – forse uno dei migliori finali della storia del cinema – è costituita dalla fuga di Antoine dal riformatorio-carcere verso la libertà, simboleggiata qui dal mare. La lunga corsa del protagonista termina improvvisamente sul bagnasciuga, quando, rimanendo meravigliato dalla visione del mare che non ha mai visto, si volta verso il pubblico e l’espressione del suo volto resta impressa indelebilmente nel fermo immagine più famoso della storia del cinema. Una tecnica innovativa per esprimere un finale aperto, così come innovativa fu la corrente della Nouvelle Vague.


(già pubblicato il 5/06/2011 su Mondoattuale)


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